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NEVIO SCALA

Il primo passo verso la costituzione della odierna azienda risale al 1929. Il nonno di Nevio, Angelo, in quell’anno si mise in marcia con la moglie Giuseppina e i figli Leonida e Francesco (suo padre) e mezza dozzina di buoi da Minerbe, nella provincia veronese, fino a bussare alle porte della fattoria di proprietà della famiglia dei nobili Albrizzi, chiamata boaria Oselanda, nel territorio di Lozzo Atestino, a cavallo tra le province di Vicenza e Padova. 25 chilometri a piedi in cerca di miglior fortuna per sé e per la propria famiglia. Da mezzadri del latifondo i suoi avi hanno cominciato a coltivare queste terre ricche di acqua ai piedi dei colli Euganei, riscattando pian piano, campo dopo campo, la campagna che veniva coltivata a “tabacco e polenta (mais)” con l’aiuto di tutti i membri della famiglia.

Una parentesi professionale nel mondo del calcio, piuttosto lunga e fortunatamente anche di successo, lo ha portato lontano dalla sua azienda dal 1965 al 1981 come giocatore di squadre come Milan, Inter, Roma, L.R. Vicenza e Fiorentina e nuovamente dal 1987 al 2004 come allenatore di squadre come la Reggina, il Parma, il Borussia Dortmund, lo Shaktar Donetsk e lo Spartak di Mosca. Questa esperienza se da un lato non gli ha permesso di seguire da vicino gli sviluppi aziendali di quegli anni – seguiti da suo fratello Giorgio – d’altro canto ha rinforzato la sua ‘altra’ vera passione, quella per la terra, le cui fatiche sono così lontane dal mondo patinato e privilegiato del calcio.

È proprio in quegli anni che si è rinsaldata la convinzione di dover sviluppare un nuovo tipo di approccio a questo bene così importante - il territorio.

Nevio ricorda un momento decisivo in questi termini, nel 1997, anno dell’impianto del suo uliveto sul Monte Lozzo, il solitario dei colli Euganei che permette una visuale a quasi 360 gradi sulla pianura sottostante, visuale a tratti desolante: un susseguirsi di forme geometriche colorate a macchie, il risultato dell’agricoltura promossa come industriale, una distesa nuda di campi coltivati interrotti solo dagli insediamenti urbani; dei boschi, dei viali alberati, delle siepi, delle piantate nei vigneti presenti nella su infanzia rimanevano oramai poche tracce. Da qui il suo impegno a riportare in questa terra alcuni elementi di questa diversità che si stava perdendo.

Biodiversità è una parola fondamentale per l’equilibrio agronomico: la vigna è solo una delle componenti dell’organismo aziendale, accanto al loro oliveto, ai cereali per la panificazione (frumento) e la produzione di malti per la birrificazione (orzo), alle leguminose per il reintegro di azoto, al girasole e alla colza per ottenerne olio di semi, alla barbabietola per la produzione di zucchero biologico, mentre l’ultimo loro progetto ha previsto l’inserimento di una coltura straordinaria nei cicli vegetativi aziendali: la canapa, un tempo coltura importantissima del loro territorio.

Il cuore dell'azienda è la loro cantina, ricavata dall'attenta ristrutturazione della vecchia stalla e del fienile dei conti Albrizzi, edifici già indicati nel catasto napoleonico, quindi sicuramente presenti nel periodo antecedente al 1816. I materiali scelti sono il più possibile legati alla filosofia aziendale di sostenibilità ambientale: hanno recuperato ad esempio una notevole quantità di pavimenti in trachite euganea per l'utilizzo nei camminamenti. L'edificio si compone, oltre che della zona di lavorazione delle uve e delle vasche di affinamento, del fruttaio di appassimento e della bottaia di tonneau in legno di rovere vecchio. È presente anche una sala degustazioni, utilizzabile per attività culturali legate alla promozione del nostro territorio.

In potatura impostano la pianta in funzione della continuità dei flussi con la tecnica della potatura ramificata. Tendono a intervenire limitatamente nel sottofila, lavorano la terra tra le file un paio di volte all'anno.

Sperimentano forme di riduzione di rame e zolfo con induttori di resistenza, oli essenziali (arancio, pompelmo) e tisane. Non fanno concimazioni se non attraverso l'interramento di sovesci (graminacee, leguminose, brassicacee, essenze mellifere).

Le uve vendemmiate manualmente dopo una selezione effettuata direttamente in vigna, vengono portate in cantina. Un frutto sano è la base imprescindibile per poter lavorare senza additivi in cantina, cercando di accompagnare il vino in base al varietale, all’annata, alle caratteristiche del nostro territorio. Alcune uve vengono lasciate ad appassire nel fruttaio per la preparazione dei mosti da rifermentazione in bottiglia.

Non effettuano filtrazioni nè chiarifiche, solo travasi al chiuso o all'aria a seconda delle condizioni del vino.

Producono vini che sono espressione delle peculiarità varietali delle uve, dell’identità territoriale e delle caratteristiche climatiche dell’annata. In cantina rifiutano interventi invasivi, accompagnando l’evoluzione del vino senza l’utilizzo di additivi enologici.